Dunque Mahmoud Abbas avrebbe deciso.
Perché l’esternazione riportata alle 13:24, da un po’ tutte le agenzie del mondo, suona molto più che un semplice proposito. Appare davvero un passo ineluttabile.
Il presidente, pressato dalla catastrofe umanitaria del suo popolo, dalla intransigente diniego ad ogni compromesso palesato dai circoli politici islamisti, dalla fermezza (invero un po’ titubante negli ultimi giorni in alcuni paesi arabi) del fronte occidentale, vuole rompere gli indugi ed esercitare l’unico, vero potere che ha in mano. La possibilità di richiamare alle urne la popolazione palestinese. Una minaccia che per gli oltranzisti islamici appare, oggi molto più di ieri, un pericolo da evitare ad ogni costo.
Il prezzo da pagare, per evitare il passaggio alle urne, può essere politico, con l’accettazione di un compromesso serio, accettato agli occhi della comunità internazionale, o sociale, con una guerra civile che, data la morfologia del territorio (la più alta densità abitativa al mondo), rischia di rivelarsi sanguinosissima.
I partecipanti all'incontro di oggi hanno riferito che Abbas non ha fissato una data entro la quale convocare elezioni anticipate, ma una fonte a lui vicina ipotizza che il voto possa tenersi fra quattro quattro o cinque mesi.
Da parte sua Hamas, che ha vinto le elezioni palestinesi a gennaio, ha respinto ogni ipotesi di voto anticipato. ''Non permetteremo questa rivoluzione'', ha dichiarato il portavoce del movimento islamico, Ismail Radwan, aggiungendo che il governo guidato da Hamas intende continuare il suo lavoro. Ahmed Yusef, consigliere del primo ministro Ismail Haniyeh, ha dichiarato alla rete televisiva araba al Jazeera che l'ipotesi di elezioni anticipate non ha senso. Yusef ha aggiunto che nessuno ha diritto di sciogliere l'attuale governo e che il comitato esecutivo dell'Olp non rappresenta nessuno. Vedi: http://www.adnkronos.com/3Level.php?cat=Esteri&loid=1.0.627151169
A favore di una lettura catastrofica, quella dell’inizio della guerra civile, gioca sicuramente la grave crisi umanitaria. Che fa alzare sempre di più la voce alle organizzazioni internazionali che lavorano sul terreno, e che non ce la fanno a dare assistenza a un popolo ridotto alla fame dall’embargo imposto da Stati Uniti, Israele e dall’Europa. Un embargo la cui responsabilità è da assegnare senza indugio ad Hamas, alla indiscussa ostinazione con la quale si è rifiutato di fare politica, abbarbicandosi ai dogmi che permeano il suo statuto e che vanno dall’esplicito progetto di cancellare Israele dalla carta geografica nell’implicito programma di islamizzare tutto ciò che capiti a portata di mano (diciamo il mondo).
Nella Striscia di Gaza, poi, il problema è diventato quasi irrisolvibile. I poveri, nei Territori palestinesi, sono ora sempre più poveri, e soffrono assieme a quelli che poveri lo sono diventati in questi ultimi nove mesi. Questo ha provocato una serie di incidenti che hanno interessato Gaza City, Beit Hanoun, Betlemme, Ramallah, Nablus, Gerico, teatri di un braccio di ferro tra Fatah e Hamas.
Alcuni osservatori asseriscono che l’accusa a Mahmoud Abbas è squisitamente politica (anche perché finanziariamente Hamas ha davvero poco da ridire, visto l’isolamento totale, e quindi economico, nel quale ha gettato i palestinesi). La voce della strada dice che il presidente sia troppo sensibile a Washington, troppo assuefatto agli interessi occidentali (Europa compresa), troppo dipendente da quelle autocrazie sunnite (Egitto, Algeria, Marocco, Tunisia) largamente compromesse nei confronti dei propri popoli e dell’Islam.
Altri preferiscono ricordare che, oggi, la maggioranza dei palestinesi contesta la posizione del governo di Hamas di rifiutare le condizioni poste dal Quartetto (Onu, Ue, Usa e Russia) per una soluzione della situazione della regione, è a favore di elezioni politiche anticipate, vede positivamente un incontro tra il presidente del'Anp, Mahmoud Abbas, ed il premier israeliano Ehud Olmert, giudica in modo più positivo l'azione svolta da Abbas rispetto a quella di Haniyeh, ma continua a ritenere il capo del governo l'uomo politico più affidabile. Sono questi alcuni dei risultati di un'indagine condotta dal Palestinian Center for Public Opinion (PCPO), un centro indipendente che dal 1994 studia l'opinione pubblica palestinese, diretto da Nabil Kukali, cristiano, che è anche professore alla Hebron University, in Cisgiordania.
L'inchiesta ha anche mostrato che la stragrande maggioranza dei palestinesi (91%) è contraria all'idea di attaccare le chiese cristiane in reazione alle parole di Benedetto XVI sull'islam, anche se il 7,9% si è detto a favore.
Il risultato più significativo dell'indagine, secondo Kukali, è il giudizio della maggioranza dei palestinesi (il 52,7%) sul rifiuto del governo di accettare le condizioni del Quartetto, insieme al fatto che il 61,4% è a favore di un incontro tra Abbas e Olmert.
Indicativo è anche il raffronto tra le risposte date ad identiche domande riguardanti la valutazione del comportamento di Abbas e di Haniyeh.
Il presidente del'Anp, Abbas, ottiene in 14,3% di "molto buono" ed un 31,6% di buono, per un totale del 45,9% di giudizi positivi, accanto ad un 24,6% di mediocre ed un 28,3% di valutazioni a vario titolo negative.
Il capo del governo, Haniyeh, ha un 17,5% di "molto buono", un 22,5% di buono (per un totale di giudizi variamente positivi pari al 40,0%), con il 26,2% di mediocre ed il 32,0% di valutazioni negative.
Un riscontro del giudizio su Abbas può essere visto nel fatto che la larga maggioranza (61,8%) dei palestinesi si dice contraria allo scioglimento dell'Autorità nazionale palestinese - a fronte del 35,5% che è favorevole - mentre una praticamente identica maggioranza (65,2%) giudica positivamente l'eventuale scioglimento delle forze del Ministero degli interni, che fanno riferimento al governo di Hamas.
In questo quadro, anche se non è stata richiesta alcuna eventuale intenzione di voto, la bilancia sembra pendere per il Fatah di Abbas in caso di elezioni politiche anticipate, "fortemente a favore" delle quali è il 37,1% degli intervistati, che con il 20,4% che è "abbastanza a favore", fa una solida maggioranza del 57,5%, contro il 40,8% che è a vario titolo contro il voto anticipato. Ad una identica domanda su elezioni anticipate per il rinnovo della presidenza dell'Anp, invece, è favorevole solo il 42,5%, a fronte di un 54,7% di contrari.
Vedi su: http://www.asianews.it/index.php?l=it&art=7553&geo=57
Questi sono i numeri, espressi invero su di un campione comunque ridotto. La situazione sul terreno sarà sicuramente tutta un’altra storia. Occorrerà, insomma, vedere come reagirà Hamas alla decisione ultimativa di Abu Mazen. E cosa succederà, poi, nel caso di elezioni anticipate.
Se, cioè, i palestinesi decideranno in maggioranza di tornare all’amministrazione di Fatah, sperando che non sia più corrotta (haramiyeh, ladri dell’amministrazione precedente, come recitavano gli slogan delle ultime manifestazioni a Ramallah) oppure se confermeranno Hanyeh e i suoi uomini.
E’ indubbio che la batosta economica, l’isolamento internazionale, l’incapacità delle frange integraliste a far politica seria andando oltre i proclami teosofici ha lasciato un segno indimenticabile nella società palestinese. Come visto sopra, i sondaggi darebbero ora la vittoria a Fatah. E questo spiegherebbe l’ira di Hamas. Ma i sondaggi in Palestina, come hanno dimostrato le scorse elezioni, lasciano il tempo che trovano.