SARKOZY RISPONDE ALLA ROYAL. ORA IL TEMA SCOTTANTE (COME IN OLANDA) E' L'IMMIGRAZIONE.
Nadjia Bouzeghrane
13 décembre 2006
Indossando il berretto del Ministero degli Interni, Nicolas Sarkozy ha annunciato, nel corso della conferenza stampa da lui indetta lunedì scorso, il proprio programma. Tra le righe si stagliano alcuni obiettivi che, tempo fa, sarebbero parsi di secondo piano o di ripiego, in particolare la creazione di un ministero per l’immigrazione e l’adozione nella legge dello Stato di un trattato internazionale.
Sarkozy è andato subito al dunque: “il dibattito sull’immigrazione ha da tempo coinvolto (e forse troppo) le frange più estreme dell’arco politico, con proposte che vanno dall’immigrazione zero a quelle che propugnano l’immigrazione libera e senza limiti”.
Secondo Sarkozy, le difficoltà derivano non dall’immigrazione in sé per sé, ma dal modo nel quale si è sviluppata per quarant’anni. “Quello che ha prevalso è stata un’immigrazione senza lavoro, senza qualifica professionale”. Per il candidato dell’UMP per la presidenza francese, la Francia sconta ancora le conseguenze “delle politiche di regolarizzazione di massa decise dai governi di sinistra” dal 1981 al 1997.
“La regolarizzazione di 80.000 clandestini nel 1997 ha dato un segnale forte al mondo intero. Ora, però, la Francia non ha modo di accogliere tutti coloro che desiderano venirci a vivere”, ed ecco la sottolineatura della carenza di circa 500.000 alloggi popolari e del tasso di disoccupazione degli immigrati attestato intorno al 20%.
Il ministro dell’interno presume di essere il promotore di una “rottura” con la politica dell’immigrazione, gettando le basi per l’affermazione del criterio favorevole ad “una immigrazione mirata”. “E’ una rottura figlia diretta della nostra politica improntata alla fermezza ed al rigore”. Sarkozy ha poi snocciolato alcuni dati: “Le cifre dell’immigrazione regolare dimostrano che il 2005 è stato un anno di rottura.
I permessi di soggiorno si sono stabilizzati a 187.000, ossia – 2,6% in rapporto al 2004.
Dal 2000 al 2003, in compenso, il numero dei permessi di soggiorno era cresciuto considerevolmente. Da 150.000 a 191.000”.
Inoltre, Nicolas Sarkozy ha annunciato che “33.000 immigrati clandestini sono stati rimpatriati nei primi 11 mesi del 2006, mentre l’accompagnamento alla frontiera degli indesiderati è passato da 10.000 nel 2002 a 20.000 nel 2005”.
Polemico il segretario nazionale del partito socialista incaricato dell’eguaglianza e la solidarietà, Faouzi Lamdaoui, che ha ritenuto la proposta di Nicolas Sarkozy di creare un ministero ad hoc per l’immigrazione rifletta l’ignoranza del problema. “Dovrebbe piuttosto migliorare i mezzi della propria amministrazione”, ha detto Lamdaoui, ricordando che “il PS ha in progetto la regolarizzazione non massiva dei clandestini, ma dopo una valutazione caso per caso al termine di 10 anni di presenza effettiva sul territorio nazionale”.
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Fin qui l’articolo.
E’ lecito notare qualche passaggio di rilievo.
Il primo è determinato indiscutibilmente dal progetto di immigration ciblée (immigrazione mirata). Un piano che prevede di scremare in partenza le orde di disperati che oramai invadono il territorio. Proposta che, occorre dirlo, è nell’agenda dei partiti britannici ed olandesi da molto tempo. Le conseguenze dell’applicazione di questo dispositivo discriminante sarebbero dirette (per la Francia) in quanto permetterebbero l’afflusso della sola manodopera necessaria al mercato. Con una drastica compressione di tutti i costi di formazione che, malgrado quel che si pensa, incidono moltissimo ed una riduzione altrettanto forte degli indici di devianza sociale.
Ma anche indirette. Perché la massa “scremata” respinta dai paesi che adottano questo sistema, si riverserà ineluttabilmente nelle aree europee che invece basano la loro politica sull’accoglienza indiscriminata.
Un secondo elemento, che non ha rilevanza minore del primo, è il progetto dei socialisti di accettare la naturalizzazione. Ma dopo dieci anni e valutando caso per caso. Un modo di pensare che, non più tardi di un lustro fa avrebbe fatto gridare la sinistra ad una discriminazione fascista e settaria.
Ma evidentemente il disastro delle banlieues francesi qualcosa ha insegnato.
Per esempio di rispolverare quel concetto che proprio un sociologo francese insigne, Emile Durkheim (ebreo, toh…) teorizzò, che sociologi altrettanto insigni discussero e poi riconobbero valido e che la sinistra ha velocemente seppellito sulla spinta dei suoi numerosi “tuttologi”. Diceva semplicemente che, allorquando in un insieme sociale, un gruppo raggiunge una forte visibilità ed è portatore di “alterità” non negoziabili, allora scatta la violenza.
Dunque non tutto è “sociale” in una società: e il fatto sociale – ossia “l’integrazione degli individui in una comunità morale di significazione” - è poi irriducibile ai fatti psicologici e biologici. Si tratta di un fatto collettivo, obiettivo, non soggettivo né mentale, e rispondente a “leggi sociali” autonome dalla psicologia e dalla biologia. D’altra parte, una società si manifesta come un “tutto”: in ciò riposa l’olismo durkheimiano.
http://www.filosofico.net/durkheim.htm
Ma oggi i partiti guardano i voti, non “chi” vota. Anche se non è di moda dirlo, anche se è così poco trendy, anche se osi dirlo subito ti tacciano di razzista ed islamofobico (intanto per festeggiare il Natale bisogna chiedergli il permesso), i disagi delle grandi democrazie olandese, britannica, francese, danese (e presto tedesca) sono direttamente proporzionali alla crescita della componente musulmana nella società.
Con tanti saluti al Consiglio degli ulema … e al suo mentore neoconvertito. D’Alema.
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il 13/12/2006 alle 22:19 | |