
3 gennaio 2007
Articolo integrale
Tradotto da: Kritikon
Vuoi perché è nata dopo l’islam, vuoi perché non menzionata nel Corano, la religione baha’is (Babista, ndr) è al centro di numerose persecuzioni nel mondo islamico. Considerati dei veri e propri eretici, essi sono a tutti gli effetti dei “non cittadini”.
Beninteso, non che le altre religioni se la passino bene nei paesi a maggioranza islamica ma, perlomeno, quelle che trovano citazione nel Corano hanno comunque un riconoscimento che, per quanto spesso umiliante, sussiste.
Tuttavia i baha’is (Babisti, ndr), già per il solo fatto di essere comparsi dopo il profeta (auto-dichiarato nel libro sommo in questione come l’ultimo degli ultimi profeti), hanno riservata una vita difficile assai. Proprio nella terra d’Islam essi rischiano la propria pelle, esattamente come fece il loro primo apostolo, Al-Mirza Ali Mohamed Al.Chirazi, nato nel bel mezzo del XIX° secolo e giustiziato in Iran.
I baha’is in Egitto sono eterni clandestini. In uno Stato dove ogni cittadino deve obbligatoriamente indicare la propria fede sulla carta d’identità e nei documenti di stato civile, la Corte suprema egizia è arrivata a negare a questi esseri umani, egiziani, ogni diritto di identificarsi come babista.
Facendo ciò li si priva contemporaneamente del diritto di iscrivere i propri figli a scuola, di fare domanda di lavoro, di detenere un conto bancario, di avere assistenza sanitaria, di ottenere un certificato di nascita, di sottoscrivere una polizza assicurativa, rinnovare la patente ecc.
La soluzione sarebbe quella di convertirsi all’islam. O, quantomeno, accettare di diventare ebrei o cristiani (molte penalizzazioni permarrebbero, ma sarebbe possibile lavorare nel settore privato) ossia le tre religioni riconosciute dagli Stati musulmani moderati (fa impressione doverli chiamare così, malgrado certe porcherie ndr).
Il caso dei “non cittadini” baha’is viene alla luce nella primavera dello scorso anno. Protagonisti una giovane coppia, Husam Izzat Musa e Ranya Enayat Rushdy, che si vedono confiscati carte d’identità e passaporti per il solo fatto che nei certificati di nascita chiedevano la menzione della loro fede baha’is.
In aprile, quello che corrisponderebbe (grosso modo) al TAR egiziano, emette una sentenza che obbliga lo Stato egiziano a donare alla coppia “eretica” i documenti di identità con la precisa indicazione della religione professata. Il dispositivo motivante recitava che anche se lo Stato egiziano non riconosce la religione babista, i suoi cittadini conservano tuttavia il diritto di poter indicare la propria appartenenza religiosa sui documenti personali.
Questa sentenza, manco a dirlo, provoca un’immediata reazione da parte degli elementi estremisti e radicali, specie negli ambienti dei Fratelli musulmani.
In quel periodo un quotidiano francese, Le Figaro, riporta un editoriale del giornale cairota al-Gomhoreya: “se i baha’is saranno riconosciuti ufficialmente, gli adoratori di vacche, del sole e del fuoco avranno un precedente giuridico che spalancherà loro le porte del dar el-islam”.
Peccato però che nell’editoriale cairota ci si dimentichi di ricordare che i babisti raccolgono già 6 milioni di fedeli in tutto il mondo e che, già nel 1948, mentre la maggior parte dei musulmani pensava ad aizzare i palestinesi (fino a quel momento cordialmente detestati da turchi ed arabi) contro gli israeliani, il babismo era riconosciuto come ONG dall’UNESCO e con esso collaborava.
Ma torniamo alla sentenza del “TAR egizio”.
Non finisce di certo lì. Il governo presenta ricorso ed il 16 dicembre la Corte suprema gli da ragione.
Occorre dire che, nella fattispecie, la sentenza costituisce un’anomalia già per il semplice fatto che, già nel 1983, la stessa Corte aveva espresso una sentenza che permetteva ai babisti di iscrivere la propria religione sui documenti di identità, in quanto la Costituzione garantiva l’eguaglianza dei diritti di tutti i cittadini.
A rincarare la dose ci pensava l’immancabile braccio teologico dei Fratelli musulmani: il Consiglio delle ricerche islamiche dell’Università di Al-Azhar (una specie di Vaticano sunnita). Secondo l’illuminato sceicco Abdallah Sammak: “L’islam non riconosce che le religioni celesti. Invece, questa religione si ispira agli insegnamenti del Corano, ma ne muta profondamente l’interpretazione e la pratica. Pregano differentemente, digiunano differentemente ed il loro pellegrinaggio non è la Mecca, ma bensì Akka (l’israeliana San Giovanni d’Acri). Non solo. Dovendo andare a sottilizzare, il loro libro, benché ispirato al Corano, è diverso. E si chiama Al-Aqdass. Dunque essi devono essere considerati semplicemente degli eretici”.
Appare divertente notare come un episodio del genere (che, sia chiaro non è affatto isolato ai soli babisti), che riguarda la libertà (di religione) negata ingeneri un effetto-sponda tutt’altro che marginale in una società fortemente non egualitaria come quella islamica.
Ed è proprio questo che i gran muftì temono.
Far cioè sorgere nella società arabo-musulmana, ma islamicamente inquadrata in genere, la comparsa di ciò che sino ad oggi è un tabù senza discussioni: la libertà di fede. La libertà di scelta, quindi uno spirito critico diffuso ed accettato, con conseguenze catastrofiche per il loro sistema politico teocratico, a forte vocazione totalitaria.
Una spallata pazzesca all’intero edificio giuridico settario odierno, simile per moltissimi versi alle dottrine pre-rivoluzionarie che ci accompagnarono in Europa. Dottrine legittimanti il potere monarchico per diritto divino.
Ma la persecuzione della religione babista non si ferma di certo nei paesi arabi musulmani.
In Iran, se è per questo, la situazione appare ancora peggiore.
Il regime iraniano attuale pratica una discriminazione secondo criteri religiosi. Riconosce due sole categorie di cittadini: i musulmani sciiti (ed in sfumature minori, i sunniti) come privilegiati ed i fedeli delle religioni anteriori all’Islam (zoroastriani, ebrei e cristiani) come (è il caso di dirlo) figli di un Dio minore. Tutti gli altri, in particolare babisti, agnostici ed atei compresi, sono dei non cittadini.
In Iran i babisti sono vittime di segregazioni in ogni fase della loro vita. Per esempio: non hanno diritto ad accedere alle scuole superiori. Da oramai 25 anni, ossia una generazione, figli e figlie della minoranza religiosa più importante del paese si devono accontentare del diploma. Difatti, in Iran le università sono riservate a musulmani, ebrei, cristiani e zoroastriani.
Dall’avvento della Repubblica Islamica, nel 1979, i circa 300.000 babisti dell’Iran vengono considerati alla stregua di “infedeli non protetti”, in definitiva delle non-persone, che non hanno in capo né diritti, né protezione.
Uno studio della Federazione internazionale della lega dei diritti dell’uomo (FIDH), datato 2003, riassume bene il problema: “essi (i baha’is ndr) non hanno diritto alla pensione, di scrivere il loro nome sulla propria tomba, di ereditare, di riunirsi per pregare (…) I loro luoghi santi ed i loro cimiteri vengono distrutti. Spesso i loro beni sono oggetto di procedimenti di confisca. Pressioni vengono sistematicamente esercitate sui datori di lavoro per licenziarli. Perché? Semplice, la loro fede, che è nata in Iran nel XIX° secolo, è posteriore all’Islam e, per questa ragione non è considerata religione dal regime. (…)”.
Agli inizi degli anni ottanta, circa 200 baha’is, scelti fra i maggiori attivisti, sono stati giustiziati per aver rifiutato la conversione all’Islam. L’indignazione della comunità internazionale ha contribuito a frenare non poco questa repressione. Ma non a fermarla del tutto. Un documento interno, firmato da Ali Khamenei, guida suprema della Rivoluzione islamica, detta una serie di raccomandazioni per risolvere la cosiddetta “questione baha’is”: “Il governo farà in modo che i baha’is siano impediti di crescere e svilupparsi. (…) Occorre espellerli dalle università, sia nelle prove di ammissione, sia nel corso degli studi (…) L’accesso al lavoro, se si dichiarano baha’is, dev’essere ostacolato”.
Ultima, piccola, precisazione: in Egitto come in Iran, la comunità babista è in fortissima diminuzione da quando i regimi islamici hanno applicato sistematicamente una politica di reislamizzazione capillare. Ma il depauperamento delle minoranze religiose coinvolge, oramai, anche ebrei e cristiani. Senza distinzione. In Egitto, come negli altri Stati islamici, stiamo oramai andando verso l’eliminazione di minoranze radicate storicamente, come i cristiani d’oriente.
Non potremo un domani dire che la Storia non ci avesse avvertiti…